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presunzione.»
Ha sorriso, e per un attimo mi è sembrato che avesse gli occhi lucidi di lacrime, prima di
voltarsi e prendere un sorso di spremuta. Sono rimasto allibito, perchè avevo provato a
immaginarmi una gamma intera di sue possibili reazioni, dall'imbarazzo all'indifferenza
all'incoraggiamento, ma questo calore così emotivo e aperto non mi era passato neanche
lontanamente per la testa. Non riuscivo a trovare nessuna frase o espressione facciale di risposta;
non riuscivo a muovermi sulla sedia.
Polidori sembrava ancora commosso; ha detto: «Tu non hai idea di quanto sia finto e
pretenzioso e privo di vita quello che si legge di solito, Roberto. Non hai idea di quanti calcoli
freddi e deboli e ambiziosi e cupi e carichi di noia vengano riversati in scrittura ogni giorno.
Leggere una storia come la tua è una specie di miracolo, come trovare un diamante tra la
spazzatura».
Di nuovo non sapevo cosa rispondergli; il cuore mi batteva veloce, avevo la testa piena di
sensazioni difficili da fermare. Ho bevuto altra vodka gelata, e mi ha confuso ancora i pensieri; era
un bicchiere enorme.
Polidori ha detto: «Quello che mi colpisce è la qualità pura e grezza della tua scrittura, come
se non avessi letto nessun libro in vita tua, oppure li avessi letti tutti e seguissi l'insegnamento Zen
di dimenticare quello che sai».
Mi guardava con aria interrogativa, ma non mi sembrava che si aspettasse una spiegazione
da me. Osallavo tra sentimenti contrastanti, confusi e raddensati ancora più dall'alcol: mi
imbarazzava l'idea che mi considerasse un naif inconsapevole, e d'altra parte non avevo seguito
nessun insegnamento Zen mentre scrivevo, mi ero solo lasciato portare dalla rabbia e dalla
frustrazione così come venivano fuori dalla mia vita.
Gli ho detto: «Non so bene. Sono due anni che lavoro, ma è ancora pieno di cose che non mi
convincono, e non riesco a trovare un finale». Mi sentivo quasi nella posizione di dovermi
giustificare, come uno che ha rotto una finestra con il suo pallone senza volerlo.
Polidori mi ha chiesto: «E intanto lavori per 'Prospettiva'? Scrivi articoli e fai interviste tutto il
giorno, e quando torni a casa riesci a ritrovare lo spirito della tua storia».
Anche lui sembrava sconcertato; capivo che mi girava intorno, cercava un angolo di lettura.
«Dipende», ho detto io. «Certe volte sono talmente stufo e depresso che non riesco più a
scrivere niente di mio, ma di solito mi viene una voglia tremenda di farlo proprio per reazione.
Forse tutta questa storia l'ho scritta per reazione, in realtà. Per sopravvivere. E una specie di
vendetta credo».
Avevo la sensazione di non controllare più le parole: mi sembrava che le vocali si dilatassero
fuori misura, lasciassero aloni sonori nel vuoto della sala vetrata. Sorridevo in modo stupido,
anche, facevo gesti inutili.
Polidori adesso mi guardava con un interesse più focalizzato, ma era ancora vicino e
caloroso, attento come un amico Mi ha chiesto E prima di lavorare a 'Prospettiva' cosa facevi? Il
supplente di italiano in una scuola media, ho detto io, e collaboravo a una radio privata Prima
ancora ero all'università , poi ho fatto il servizio militare, poi ho lavorato in un allevamento di cani a
Digione, mentre mia moglie faceva il suo corso di specializzazione Scrivo da quando ho
diciott'anni, ma è sempre stata una specie di attività collaterale Mi rendevo conto di dargli
un'immagine non del tutto accurata della mia vita, più leggera e facile e scorrevole di com'era mai
stata; ma cercavo di confermare il quadro che lui doveva essersi fatto di me. Era una specie di
riflesso automatico, scavalcava i miei pensieri. Polidori è stato zitto, sembrava assorto nelle guglie
del Duomo; io ascoltavo l'acciotolio sommesso dei due giapponesi all'altra estremità della sala, il
tintinnio di vetri e i soffi di vapore che venivano dalle cucine. Poi si è girato, mi ha detto Io penso
che tu sia uno scrittore, Roberto Penso che dovresti cercare di finire questa storia, e pubblicarla.
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